“Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti che chiamano ‘petites madeleines’ […] E subito, meccanicamente, oppresso dalla giornata uggiosa e dalla prospettiva di un domani malinconico, mi portai alle labbra un cucchiaino di tè nel quale avevo lasciato che si ammorbidisse un pezzetto di madeleine. Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, […] una deliziosa voluttà mi invase, […] di colpo mi aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, agendo nello stesso modo dell’amore, colmandomi di un’essenza preziosa. Da dove era potuta giungermi una gioia così potente?”.
Tutti abbiamo un piatto o una lista di cibi preferiti ai quali ricorriamo nel momento del bisogno. A Proust bastò un piccolo biscotto, la madeleine, a riportare alla mente i ricordi della sua infanzia. Stessa cosa è successa ad Anton Ego (il temibile critico gastronomico del cartone Pixar) non appena assaggia la ratatouille di Remy.
Con il termine COMFORT FOOD si indicano tutti gli alimenti in grado di donare una sensazione di benessere, di riportare alla mente ricordi piacevoli del nostro passato. Parliamo di cibo in grado di consolare, confortare, coccolare, di renderci felici insomma. In momenti di stress o dopo una giornata difficile desideriamo quel particolare alimento, perché abbiamo bisogno di soddisfare un’emozione piuttosto che l’appetito.
Se il cibo diventa una dipendenza
Attenzione però, c’è una linea sottile tra il “farsi una coccola nel momento del bisogno” e “affogare i problemi nel cibo”. Nel primo caso, i comfort food coccolano realmente quando si ha un rapporto sano con il cibo, quando cioè si raggiunge una maturità emotiva in cui il cibo non è una valvola di sfogo e siamo in grado affrontare i momenti difficili con altre forme di conforto (fare attività fisica, prendere un caffè con un amico, fare shopping).
Il problema subentra nel momento in cui diventiamo “dipendenti” dai nostri comfort food, quando li utilizziamo per colmare un vuoto ma che, dopo un sollievo temporaneo, lasciano sensi di colpa, tristezza e sconforto. Perché mangiamo quando siamo tristi? Ci sono alimenti che per natura rilasciano endorfine, dopamina e serotonina (gli ormoni della felicità) e sono in grado di migliorare l’umore. Tra questi spiccano il cioccolato, le banane e la frutta a guscio. Però non bisogna esagerare e lasciarsi travolgere dalla FAME EMOTIVA, perché questi comportamenti possono portare ad un aumento del peso e generare sensi di colpa, innescando un pericoloso circolo vizioso.
In definitiva, ogni tanto fa bene abbandonarsi ai ricordi e lasciarsi coccolare dal proprio cibo preferito. Il consiglio è quello di limitare le porzioni e le occasioni e, soprattutto, di prestare sempre attenzione a quello che mangiamo ogni giorno. Solo in questo modo ogni tanto possiamo concederci qualcosa in più senza stravolgere troppo la nostra alimentazione quotidiana.
Si lo so, non posso lasciarvi con il dubbio 😊
I miei COMFORT FOOD sono gli struffoli delle mie nonne, che preparavamo insieme pochi giorni prima di Natale, gli spaghetti al pomodoro di zia Angela (li avrei mangiati tutti i giorni!), la treccia e il pane fatto in casa di zia Elisa, la cena tipica delle mie estati trascorse da lei a Sorrento.
Ora però voglio sapere il vostro comfort food!